Questo libro è destinato a chi lavora con le parole e con esse si affanna e si affama. A quelli che stanno al cospetto delle armate di parole che usano – e da cui contemporaneamente sono usati – e piangono e ridono e poi – talvolta – tacciono: risentiti, estasiati, arrabbiati, incantati, arresi, meticolosi, squadernati. [...]
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MAURO CERUTI
LAURA FORMENTI
ROSA GALLELLI
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PAOLA MILANI
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ANTONIO PANELLA
LAURA PAPETTI
FRANCA PINTO MINERVA
CARLO RIDOLFI
GEGÈ SCARDACCIONE
MILENA TANCREDI
CRISTINA TATTARLETTI
IL MANIFESTO DI SQUILIBRI
Ci sono gesti e pensieri che ogni giorno si compiono nel tentativo di dar forma alla vita delle persone, di ciò che sono e stanno facendo. Gesti e pensieri che nutrono esteticamente la vita e le relazioni di chi sta imparando, di chi sta insegnando, di chi sta sperimentando tumulto o bellezza.
Ma forse, a guardar bene, non c’è gesto che compiamo che non abbia in sé un “potenziale estetico”: poiché siamo destinati a essere in ogni momento partecipanti di questo mondo. Ogni gesto è parte costitutiva e mai banale di questa ridon-danza di cui facciamo parte. Sicché, come scriveva chi teneva insieme la sua identità di biologo con la sua stessa di filosofo: “siamo immersi inevitabilmente in una trasformazione infinita di tutte le cose” (A.L. Lavoisier).
Trasformazione.
Trasformazione che implica e genera forme di contaminazione, contagio, mistura.
E non soltanto a partire da grandi rivoluzioni o macro-sistemi, ma anche da piccole connessioni e in micro-contesti.
Trasformazione spesso nascosta, come un terremoto costante ma ancora non percepito, nelle pieghe dell’ordinario.
A nostro parere, anche nel campo dell’educazione e della formazione esiste, energica, una colleganza di invisibili rivoluzioni, in un gioco a domino – ma avanti e indietro, non in un senso solo – nel quale visioni, parole, progetti e politiche, punti di vista e punti di “svista”, anche quando sommessamente praticati, contribuiscono con vigore a dare senso e sensi alla scienza ed alla pratica educativa.
Questa convinzione l’abbiamo appresa errando tra interstizi, dettagli, angoli, confini nel nostro lavoro di educatori e formatori: il rigore e la grazia della ricerca più autentica si nascondono spesso in esperienze, passaggi, intuizioni – e soprattutto persone – sovente ignorati dalle pubblicazioni scientifiche ortodosse, perché ritenuti angolari, periferie e non centro.
C’è un detto secondo cui “il diavolo si nasconde nei dettagli”. E sì: avevamo noi stessi, anni fa, cominciato puntando al centro – al visibile, al manifesto, al sicuro e imperturbabile – ma oggi, dopo notevole zigzagare, la nostra ricerca è qui che ci ha condotto: adesso anche noi crediamo sia proprio così. E adesso crediamo nel dio delle piccole cose, come lo chiamava Arundhati Roy.
Un dio minore, che a noi sta molto a cuore perché per natura inseguiamo una particolare cultura.
Particolare, appunto.
Ed allora sì: anche la scienza si nasconde spesso in periferia. Nel particolare.
Questa collana di piccoli libri nasce così, dal nostro errabondare tra particolari, cercando l’universale che crediamo esista anche nella forma della sua parcellizzazione, nel dettaglio che è uno squarcio universale.
Questa collana di piccoli libri nasce, onestamente, da questi nostri particolari squarci: dai nostri legami, dai nostri incontri, simbolici o reali (e… simbolici dunque reali) con accademici e poeti: e con accademici insolitamente poeti e poeti insolitamente accademici.
E risponde al nostro bisogno di onorare il particolare, l’effimero, il decentrato, “l’infraordinario” come lo ha saggiamente chiamato Georges Perec.
Un’operazione per noi epistemologicamente interessante e antropologicamente appassionante: una festa.
E una celebrazione è sempre una scelta “politica”. Per questo vorremmo che questa collana fosse composita, colorita e visibile come una fiera. Con esposizione di artigiani laureati e con artigiani che la laurea non l’hanno. Tutti, i ricercatori ufficiali ed i ricercatori oltre l’ accademia, gli scienziati scritturati come tali e gli scienziati neppure laureati: tutti quelli impastati dentro la vita vera, rappresa di carne ed epistemologie.
Il desiderio, allora, è quello di dar forma ad una collana di piccoli “squi-libri” per comporre scientifico ed estetico in pedagogia.
Ma forse è anche il nostro ambizioso tentativo di fare una gentile sovversione di ciò che spesso accade nel mondo dell’editoria pedagogica: come Bateson e von Foester ci hanno insegnato, esporre e non celare il nostro “punto cieco”, quella parte del campo visivo in cui il nostro sguardo non arriva e che la nostra mente non conosce.
Dichiarare allora, già mentre partiamo, che conosciamo il limite profondo di questa operazione, che conosciamo dove non possiamo e non vogliamo arrivare: spiegare, modellizzare, ordinare.
Il motivo? Personalissimo, particolarissimo, opinabilissimo: dispiegare ci interessa di più dello spiegare.
Celebrare esteticamente l’erranza è una scelta salata, esposta. Non sappiamo che fine faranno in accademia i nostri piccoli libri. Il nostro desiderio di portare sulla scena della scienza la logica della bellezza e dell’infraordinario potrebbe restare vano, patetico, comico persino.
Ma restiamo nella consapevolezza di non potere – né volere –offrire visioni e pratiche esaustive, coerenti e senza ombre.
Solo immaginazione, dunque?
Forse, può darsi, chissà.
Ma è un’immaginazione come quella di Chisciotte, che è spinta alla conoscenza di quel che non immediatamente appare. Immaginazione che, se onestamente abbraccia e non rifiuta il reale, è precondizione e non riduzione della scienza.
Come abbiamo imparato dai nostri maestri di pedagogia e immaginazione – Gregory Bateson, Italo Calvino, Mauro Ceruti, Gianni Rodari, Chandra Livia Candiani, Bruno Munari, Wislawa Szymborska, Edgar Morin, Heinz von Foerster – accettiamo di barcollare, scientificamente e comicamente: ovvero raccontando in modo non sistematico e non manualistico le forme complesse della vita e della cura nella forma di libri che possano essere soste e, al contempo, oscillazioni. Come quelle di Philippe Petit sul suo filo da funambolo. Trepidanti crediamo che il baratro del sospeso sia attitudine profondamente scientifica, non rinuncia alla scientificità della conoscenza.
Operazione che forse apparirà presuntuosa o forse anche il suo contrario: ingenua.
E che, proprio per questo, ci richiede di mantenere saldo, dondolando, il senso del comico che siamo.
Così: negli interstizi dove abita il diavolo e dove anche la bellezza si rintana, è proprio lì che proveremo a stare con questi piccoli libri.